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Richard Avedon

Richard Avedon nasce a New York da una famiglia russa di origini ebree il 15 maggio 1923 e morì nel 2004.

Famoso soprattutto per i suoi ritratti, Avedon è un fotografo del Novecento ma il suo lavoro ha radici nello stile ottocentesco, mescolato al “divismo” del cinema statunitense degli anni Trenta.
Inizia a fotografare da giovane e durante la seconda guerra mondiale. Entra in marina e scatta foto di identità dei membri dell’equipaggio con una Rolleiflex biottica regalata dal padre ed inizia ad elaborare uno stile dinamico. Nel 1945, finita la guerra, finito il servizio presso la marina apre il proprio studio e inizia a lavorare come freelance per numerose riviste. Grazie all’incontro con Alexey Brodovitch, direttore artistico della famosa rivista di moda Harper’s Bazaar (di cui poi Avedon nel 1961 sarà direttore artistico), Avedon collaborò a lungo con Vogue e LIFE.
Avedon sviluppa un approccio alla fotografia di moda assolutamente originale: le modelle sono colte in tutte le loro espressioni, ridono e spesso posano in movimento. Avedon ritrae i suoi soggetti e le tendenze di stile nei nightclub, per le strade o al circo, e in altri ambienti all’epoca. Avedon cerca di suggerire la personalità ed evocare la vita dei peronaggi ritratti; solo di rado li idealizza, più spesso ne presenta il volto in totale chiarezza, quasi si tratti di una sorta di paesaggio. Registra pose, atteggiamenti, acconciature, abiti e accessori come fossero elementi vitali, persino rivelatori di un individuo. Man mano che la sua fama aumenta e la sua cifra stilistica si evolve, Avedon si rivolge con sempre maggiore esclusività a grandi progetti di ritratti, intesi come mezzo per esplorare temi di interesse culturale, politico o personale. Nel 1985 realizza la sua opera più importante, In the American West. La classe operaia americana – macellai, minatori, detenuti e cameriere – è fotografata con una cura estrema del particolare, usando la macchina di grande formato e lo sfondo bianco tipici dello stile maturo dell’artista. Tuttavia, anche se all’apparenza risultano minimalisti e oggettivi, questi ritratti – come sottolinea lo stesso Avedon – non vanno letti come semplici inventari di individui; anzi, egli afferma: “il momento in cui un’emozione o un fatto è trasformato in fotografia, non è più un fatto ma un’opinione”.

Negli anni Avedon ha fotografato i più grandi personaggi del suo tempo: Buster Keaton, Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Ezra Pound, Dwight D. Eisenhower, Andy Warhol, i Beatles, collaborando anche con Versace e Revlon. Ma Avedon fotografò anche moltissime persone comuni.
In un discorso al MoMA di New York, il 27 settembre 1986, Avedon spiegò quanto fosse importante riorganizzare i gesti della persona fotografata: «Tutti gli artisti del ritratto devono pensare a cosa fare delle mani. Non è affatto vero che il ritratto è una specie di momento catturato all’interno di un flusso di gesti». La posizione del soggetto, i suoi gesti, rappresentano simbolicamente la sua psicologia e i suoi sentimenti: per questo Avedon era un convinto sostenitore del ruolo di elaborazione della fotografia, come luogo che non rappresenta mai la “verità”.

Avedon non si occupò solo di moda, ma anche di notizie e attualità; nel 1963 fotografò le persone con in mano il giornale che dava la notizia dell’assassinio di Kennedy; nel 1989 assistette in prima persona alla caduta del muro di Berlino.

Un suo famoso progetto – che non riguarda le celebrità, ma che ha sempre a che fare con il ritratto – è The American West, commissionatogli nel 1979 da Mitchell A. Wilder, direttore dell’Amon Carter Museum. È un catalogo interessante, forte e profondo sulle persone del west, dagli operai agli impiegati alle loro famiglie. Avedon scattò 762 ritratti di gente comune, che stampò poi in dimensioni enormi. Si tratta di un progetto maestoso che costituì una sorta di punto di svolta nella sua opera, quando era ormai quasi sessantenne.

Il lavoro di Avedon è complesso e vastissimo. Nel 2009 la Corcoran Gallery of Art, mise insieme i suoi ritratti politici, i “ritratti del potere”, tra cui quello di un giovane Barack Obama. E anche quando morì, a 81 anni, stava lavorando  per il New Yorker. Le sue opere fanno parte delle più grandi collezioni mondiali: esiste una fondazione che organizza i materiali, tra cui molti testi interessanti relativi a interviste e conversazioni, e ne gestisce il grosso archivio.

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